INDOVINA CHI VENNE A CENA, CON
JAM SESSION
Quella sera
avevamo organizzato una cena con Mario,
il nostro padrone di casa che avrebbe anche provveduto a procurare da mangiare a da bere. Si
presentò con un borsone, la cassetta
degli attrezzi da falegname ed una quantità interminabile di bottiglie: dal
Barbera al Nebbiolo, al vino speciale di sua produzione, ed una bottiglia di
grappa ereditata dal nonno che aveva fatto parte della gloriosa Brigata Taurinense durante la Grande
Guerra, da stappare nelle grandi occasioni. Dentro il borsone c’era una pentola con del sugo ai funghi porcini,
tagliatelle fatte in casa, un contenitore con porcini e carne a spezzatino e, sontuosa conclusione, un altro pentolone
con della “Bagna Cauda” e verdure da
intingervi, talmente “strong” da fare risvegliare tutti i gatti del cortile che,
in un attimo, ci trovammo lì, a
gironzolare eccitati sotto il nostro balcone a miagolare attirati dall’intenso
odore di acciughe ed aglio, invadente e tenace, come le impronte violacee del
vino che lasciarono i fondi dei
bicchieri posati sui ripiani di legno di tavoli, sedie, mensole e sul
pavimento.
Festeggiammo il
trasloco “forzato” da un altro alloggio di sua proprietà: da lì Mario ci aveva
letteralmente sbattuti fuori, approfittando della nostra assenza per chiudere
la nostra roba dentro scatoloni e portarla via…Lui aveva questo “simpatico e
approssimativo” modo di comportarsi. Si giustificò dicendo:- Mio figlio si
sposa, avevo bisogno dell’appartamento-. La cosa ci dispiacque, se non altro
per il tempo che avevamo perso a riempire le pareti con murales che simulavano gli interni di una
nave, tuttavia, nel cambio, a parità di canone d’affitto, ci era andata bene:
l’alloggio era grandissimo, c’era anche un ampio soggiorno dove poter suonare.
Si trattava di case popolari
costruite nel 1925, con cortile
interno alberato, che si affacciavano
su corso
Racconigi e corso Peschiera, di
fronte all’ex Stabilimento Lancia.
Ricordo benissimo che uscivo dal cancello di casa ed avevo un meraviglioso
mercato rionale a portata di mano, dove vendevano praticamente tutto. Mario, mobiliere,
ex partigiano, andava in giro vestito da straccione ma era pieno di soldi e si
diceva che l’enorme sotterraneo risalente ai tempi di Pietro Micca, sotto il
suo negozio fosse pieno di mobili e di bottiglie di vino..Un mito. Di noi solo
Silvio aveva avuto l’onore di entrare dentro quel luogo fantastico, testimone
di interminabili jam-session, durante le quali si suonava e si beveva, si
beveva e si suonava… Silvio, prossimo al diploma di clarinetto “classico” ma innamorato del
jazz, mi parlava in continuazione dei suoi preferiti: Sidney Bechet, Benny Goodman, Tony Scott e i sassofonisti Coleman Hawkins, Lester Young, Charlie Parker
e John Coltrane e poi di Bix
Beiderbeke, Louis Armstrong, Dizzy Gillespie e Miles Davis, di cui non apprezzava la svolta elettrica. Eravamo affascinati dalla figura e dalla voce di Billie Holiday, la potenza del blues di Bessie Smith, la genialità degli arrangiamenti di
Duke Ellington e dalla originalità di Thelonius
Monk e Charlie Mingus..
Mario raccontava
di aver girato da giovanotto per le balere del Piemonte suonando con la sua orchestra e prediligeva un repertorio
swing fatto di Standard, Ballad, aggiungendo qualche Tango e molta
Mazurca… Dopo cena, ci spostammo in soggiorno, e lì estrasse dalla cassetta
degli attrezzi il suo Clarinetto, scelse un’ancia fra le numerose sparse tra
chiodi e bulloni, la inserì nel beccuccio, accordammo gli strumenti, per quel
che fu possibile, e partì con un
disperato Saint Louis Blues,
Ah hate tuh see dat ev'nin' sun go
down,
yes, Ah hate tuh see dat ev'nin' sun go down,
et makes me think Ah'm on mah las' go
'roun'(…)
Ah,
odio vedere il sole che tramonta la sera..
Mi
fa pensare che è anche il mio ultimo giro..
..Io e Silvio lo
seguimmo per tutta la notte con due chitarre. Suonammo Dinah con un tempo molto
rallentato, rispetto a quello stratosferico di Diango Reinardth, Petit
Fleur di Sidney Bechet, che era
il suo cavallo di battaglia, e poi anche Amapola,
I'm
in the Mood for Love, Embraceable You, alquanto lontana dalla versiona
suonata da Bird e dal giovane Miles, però in chiave molto confidenziale…
Embrace me, my sweet embraceable you
Embrace me, you irreplaceable you
Just one look at you
My heart grows tipsy in me
You and you alone
Brings out the gypsy in me..
Verso le due di
notte Silvio, l’unico di noi che conosceva veramente dove stesse di casa la
musica, riuscì a strappare di mano lo strumento a Mario ormai completamente
obnubilato, e lo fece finalmente suonare! (lo strumento). Un diavolo di blues
violaceo s’impadronì di lui:
I woke up this morning
just 'bout half past four
Hesitation blues was knocking on my door
Tell me, how long, do I baby, have to wait
Can I let you know? Why must I hesitate?
Chi ha ascoltato
la versione acustica di Esitation Blues suonata da Jorma Kaukonen,
sa che parte con un incedere da lento ragtime,
come lo suonava il reverendo Gary Davis, ad un certo punto s’impenna e il
chitarrista degli Hot Tuna comincia
a correre come un treno spinto dal possente basso di Jack Casady. Così fece Silvio con il clarinetto: ebbe un moto di
ribellione verso suoi studi classici e
si abbandonò ad una lunga e serrata improvvisazione swing: le sue note fluide,
taglienti, cristalline come quelle di un flauto traverso, riempirono la nostra
miseria per qualche minuto e
inseguendole con il pensiero abbiamo superato la velocità della luce
insieme a chi le aveva create.. Poi il blues scese lento su Mario che russava, in
“quattro quarti”... Ad un certo punto abbiamo esaurito, insieme al repertorio, tutto
quello che c’era da bere, compreso il vino della raccolta personale, che aveva
una densità molto vicina a quella dello sciroppo e la grappa del nonno alpino che
uccise completamente le nostre ultime risorse mentali..
Per casa
gravitavano ancora studenti, musicisti, insegnanti, pittori e qualche topo notturno.
Dentro c’era una fitta nebbia.. Alcuni di loro si fermarono a dormire, altri
andarono via diretti al “Capolinea del
n.8”, ad ascoltare il gruppo Aldo
Rindone e Guido Scategni, o in qualche
altro posto a bere, forse a gironzolare senza meta nell’attesa di schiarirsi le
idee.
Arrivò con il giorno il sabato ed insieme, Fausto,
che era venuto per lavare la sua “Lambretta”
e mangiare a sbafo. Faceva il postino, ma non ci ha mai portato una lettera,
una cartolina, un vaglia postale. Aveva portato finalmente una bottiglia di
vino che quella volta bevve tutto da solo.
[Mr Hyde]