cassetti confusi

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sabato 23 dicembre 2017

IL CALENDARIO DI CASSETTI CONFUSI IN OMAGGIO!



Ebbene si, non pensavo che sarei caduto così in basso, al punto di trasformare un gadget in un post di fine anno. Anche qui, siamo arrivati alla frutta.. però si tratta di un lavoro fatto con le mie mani  ed ho impiegato anche un tot di tempo. Ed è un modo di augurare a chi si avventura da queste parti ogni bene...Il colore del fondo è verde acqua, come una speranza annacquata - ma sempre speranza rimane.. A seguire un'anteprima delle pagine (dimensioni A3) ma vi fornisco il link per il download.









a tutti buone feste!

domenica 10 dicembre 2017

UNA NOTTE CON BIX BEIDERBECKE di MR.HYDE



Un ricordo di Bix Beiderbecke, in mezzo ad altri ricordi estratto da MAGAZZINI INESISTENTI

Per tutta la durata del pranzo, il Maestro ci aveva, per così dire, intrattenuti, descrivendo la sua nuova, fiammante, protesi dentaria. A bocca aperta, continuava a mostrare quel miracolo della tecnologia sanitaria, che non si sa quanto gli fosse costato..Nessuno di noi aveva avuto il coraggio di guardare.. Il Maestro, noto pianista e dispensatore di sorrisi e canzoni di Fred Bongusto o Bruno Martino per  turiste attempate, nei peggiori locali notturni di Firenze e dintorni, era anche noto per la sua taccagneria  e quella enorme spesa avrebbe occupato gran parte dei suoi pensieri e discorsi per chissà quanto tempo ancora…Tuttavia, non so come, un lampo di barbera violaceo illumino’ il suo animo e trovo’ un guizzo di generosità per  invitarci tutti a casa sua a Firenze, quel fine settimana. Avremmo mangiato e dormito da lui… L’appuntamento fu fissato per la mattina successiva alle 8.00 alla stazione – il treno partiva alle 8e30 – il tempo di munirsi di biglietto. Saremmo stati tutti lì puntuali (dovevamo essere in sette..).
La mia badante era anche badante di una anziana signora ex attrice del cinema muto. Forse aveva avuto un’avventura con uno dei fratelli Lumìere (o entrambi)..Era comunque moolto benestante ed abitava in un palazzetto  all’interno di un  splendido quartiere residenziale di Torino. Quella notte la mia badante improvvisò in mio onore una sfilata con gli abiti di scena custoditi dentro un grande armadio di legno nero, uno dei tanti dentro quella grande casa, dove si ascoltava ancora musica con il grammofono, da vecchi, spessi, dischi in vinile Noi, invece, ascoltavamo musica da un giradischi provvisto di casse acustiche: consumammo Led Zeppelin III, persi dietro l’assolo di Page in  “ Since I've Been Loving You”; “The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd, “Waiting for the Sun” dei Doors , “Selling England by The Pound” dei Genesis;  ed una molteplicità di LP mai dimenticati .                                                   
Il battere spettrale dell’orologio a pendolo mi sveglio’ alle tre, uscii dalla camera e mi recai nel freddo, buio soggiorno, arredato in stile “dannunziano”, dove avevo intravisto quei vecchi 78 giri. Sedetti su una poltrona vicino al tavolino con sopra il grammofono e da un ripiano estrassi alcuni di quei dischi. Ne presi uno in mano e lessi nell’etichetta: (..... ) 
[Se vuoi saper come è andata a finire, leggi pure QUI ]








martedì 28 novembre 2017

HERBIE HANCOCK E LA SOUNDTRACK DI BLOW UP (L'ALBUM DEL 1966) di Mr.Hyde


Chi non ha visto o sentito parlare di “Blow-Up”  famoso  cult movie ambientato nella Swinging London degli anni 60? Michelangelo Antonioni, il regista appassionato di jazz, per aggiungere la soundtrack  chiamò l’allora ventiseienne Herbie Hancock che accettò con entusiasmo e si recò immediatamente a Londra, dove assistette alla prima assoluta. “Oh, merda, pensai, seduto nel buio. Di cosa parla questo film? Come potevo scrivere la colonna sonora, se non ci avevo capito un’acca?” (*) Ecco: fu questa la prima reazione di Hancock.

Per i curiosi, continuare a leggere QUI

Ricordo che il 2 ottobre 2017, in occasione del 50° anniversario della vittoria al Festival di Cannes, il capolavoro di Antonioni è tornato nelle sale in versione restaurata. Vale la pena di vederlo o rivederlo.




sabato 27 maggio 2017

INDOVINA CHI VENNE A CENA - RACCONTO DI UNA JAM SESSION ETILICA..

INDOVINA CHI VENNE A CENA, CON JAM SESSION
(Mr.Hyde su MAGAZZINI INESISTENTI)





Quella sera avevamo organizzato una cena con  Mario, il nostro padrone di casa che avrebbe anche provveduto  a procurare da mangiare a da bere. Si presentò con  un borsone, la cassetta degli attrezzi da falegname ed una quantità interminabile di bottiglie: dal Barbera al Nebbiolo, al vino speciale di sua produzione, ed una bottiglia di grappa ereditata dal nonno che aveva fatto parte della gloriosa Brigata Taurinense durante la Grande Guerra, da stappare nelle grandi occasioni. Dentro il borsone c’era  una pentola con del sugo ai funghi porcini, tagliatelle fatte in casa, un contenitore con  porcini e carne a spezzatino  e, sontuosa conclusione, un altro pentolone con della “Bagna Cauda” e verdure da intingervi, talmente “strong” da fare risvegliare tutti i gatti del cortile che, in un attimo, ci trovammo lì,  a gironzolare eccitati sotto il nostro balcone a miagolare attirati dall’intenso odore di acciughe ed aglio, invadente e tenace, come le impronte violacee del vino che lasciarono i  fondi dei bicchieri posati sui ripiani di legno di tavoli, sedie, mensole e sul pavimento.
Festeggiammo il trasloco “forzato” da un altro alloggio di sua proprietà: da lì Mario ci aveva letteralmente sbattuti fuori, approfittando della nostra assenza per chiudere la nostra roba dentro scatoloni e portarla via…Lui aveva questo “simpatico e approssimativo” modo di comportarsi. Si giustificò dicendo:- Mio figlio si sposa, avevo bisogno dell’appartamento-. La cosa ci dispiacque, se non altro per il tempo che avevamo perso a riempire le pareti con  murales che simulavano gli interni di una nave, tuttavia, nel cambio, a parità di  canone d’affitto, ci era andata bene: l’alloggio era grandissimo, c’era anche un ampio soggiorno dove poter suonare. Si trattava di case popolari  costruite  nel 1925, con cortile interno alberato,  che si affacciavano su  corso Racconigi e corso Peschiera, di fronte all’ex Stabilimento Lancia. Ricordo benissimo che uscivo dal cancello di casa ed avevo un meraviglioso mercato rionale a portata di mano, dove vendevano praticamente tutto. Mario, mobiliere, ex partigiano, andava in giro vestito da straccione ma era pieno di soldi e si diceva che l’enorme sotterraneo risalente ai tempi di Pietro Micca, sotto il suo negozio fosse pieno di mobili e di bottiglie di vino..Un mito. Di noi solo Silvio aveva avuto l’onore di entrare dentro quel luogo fantastico, testimone di interminabili jam-session, durante le quali si suonava e si beveva, si beveva e si suonava… Silvio, prossimo al diploma  di clarinetto “classico” ma innamorato del jazz, mi parlava in continuazione dei suoi preferiti: Sidney Bechet, Benny Goodman, Tony Scott e i sassofonisti Coleman Hawkins, Lester Young, Charlie Parker e John Coltrane e poi di Bix Beiderbeke, Louis Armstrong, Dizzy Gillespie e Miles Davis, di cui non apprezzava la svolta elettrica. Eravamo affascinati dalla figura e dalla voce di Billie Holiday, la potenza del blues di Bessie Smith, la genialità degli arrangiamenti di Duke Ellington e dalla originalità di Thelonius Monk e Charlie Mingus..
Mario raccontava di aver girato da giovanotto per le balere del Piemonte suonando  con la sua orchestra e prediligeva un repertorio swing  fatto di Standard, Ballad, aggiungendo qualche Tango e  molta Mazurca… Dopo cena, ci spostammo in soggiorno, e lì estrasse dalla cassetta degli attrezzi il suo Clarinetto, scelse un’ancia fra le numerose sparse tra chiodi e bulloni, la inserì nel beccuccio, accordammo gli strumenti, per quel che fu possibile, e partì con  un disperato Saint Louis Blues,
Ah hate tuh see dat ev'nin' sun go down,
yes, Ah hate tuh see dat ev'nin' sun go down,
et makes me think  Ah'm on mah las' go 'roun'(…)
Ah, odio vedere il sole che tramonta la sera..
Mi fa pensare che è anche il mio ultimo giro..
..Io e Silvio lo seguimmo per tutta la notte con due chitarre. Suonammo Dinah con un tempo molto rallentato, rispetto a quello stratosferico di Diango Reinardth,  Petit Fleur  di Sidney Bechet, che era il suo cavallo di battaglia, e poi anche Amapola I'm in the Mood for Love, Embraceable You, alquanto lontana dalla versiona suonata da Bird e dal giovane Miles, però in chiave molto confidenziale…
Embrace me, my sweet embraceable you
Embrace me, you irreplaceable you
Just one look at you
My heart grows tipsy in me
You and you alone
Brings out the gypsy in me..
Verso le due di notte Silvio, l’unico di noi che conosceva veramente dove stesse di casa la musica, riuscì a strappare di mano lo strumento a Mario ormai completamente obnubilato, e lo fece finalmente suonare! (lo strumento). Un diavolo di blues violaceo s’impadronì di lui:

 I woke up this morning just 'bout half past four
Hesitation blues was knocking on my door
Tell me, how long, do I baby, have to wait
Can I let you know?
Why must I hesitate?

Chi ha ascoltato la versione acustica di Esitation Blues  suonata da  Jorma Kaukonen, sa che parte con un incedere da lento ragtime,  come lo suonava il  reverendo Gary  Davis, ad un certo punto s’impenna e il chitarrista degli Hot Tuna comincia a correre come un treno spinto dal possente basso di Jack Casady. Così fece Silvio con il clarinetto: ebbe un moto di ribellione verso suoi studi classici e si abbandonò ad una lunga e serrata improvvisazione swing: le sue note fluide, taglienti, cristalline come quelle di un flauto traverso, riempirono la nostra miseria per qualche minuto e  inseguendole con il pensiero abbiamo superato la velocità della luce insieme a chi le aveva create.. Poi il blues scese lento su Mario che russava, in “quattro quarti”... Ad un certo punto abbiamo esaurito, insieme al repertorio, tutto quello che c’era da bere, compreso il vino della raccolta personale, che aveva una densità molto vicina a quella dello sciroppo e la grappa del nonno alpino che uccise completamente le nostre ultime risorse mentali..
Per casa gravitavano ancora studenti, musicisti, insegnanti, pittori e qualche topo notturno. Dentro c’era una fitta nebbia.. Alcuni di loro si fermarono a dormire, altri andarono via diretti al “Capolinea del n.8”, ad ascoltare il gruppo Aldo Rindone e Guido Scategni, o in qualche altro posto a bere, forse a gironzolare senza meta nell’attesa di schiarirsi le idee.
 Arrivò con il giorno il sabato ed insieme, Fausto, che era venuto per lavare la sua “Lambretta” e mangiare a sbafo. Faceva il postino, ma non ci ha mai portato una lettera, una cartolina, un vaglia postale. Aveva portato finalmente una bottiglia di vino che quella volta bevve tutto da solo.


[Mr Hyde]

lunedì 15 maggio 2017

A PUGNI CONTRO IL RAZZISMO





Tratte da Magazzini Inesistenti, alcune considerazioni su Hurricane da Desire di Bob Dylan e Jack Johnson di Miles Davis.

A pugni contro il razzismo – di Mr. Hyde


L’attacco del violino in Hurricane di Bob Dylan è l’inizio di un racconto di rabbia e tristezza: è come quando vedi passare qualcuno, veloce e risoluto, e gli chiedi: “Dove cazzo vai?” e quello, senza fermarsi né girarsi a guardare “Seguimi, te lo dirò strada facendo”. Un po’ come succede nelle parole di quella canzone degli Osibisa“Woyaya”“We are going, Heaven knows where we are going, We will know we’re there”Hurricane, al secolo Rubin Carter, è un pugile che ha visto consumarsi la vita in prigione, accusato di omicidi non commessi, ingiustamente e certamente per il colore della sua pelle. La canzone di Bob Dylan (scritta a quattro mani con Jacques Levy) è contenuta nello stupendo “Desire”,  pubblicato dalla Columbia nel 1976.
“Ora tutti quei criminali in giacca e cravatta / sono liberi di bere Martini e guardare il sole sorgere /
mentre Rubin siede come Budda in una cella di pochi metri / un innocente in un inferno vivente. /
Questa è la storia di Hurricane / ma non sarà finita finché non riabiliteranno il suo nome /
e gli ridaranno indietro gli anni che ha perduto / Lo misero in galera ma un tempo sarebbe potuto diventare / campione del mondo”.
Un manifesto contro il razzismo e in generale anche sugli errori di una giustizia in quel caso (e non solo) ingiusta. Un altro pugile, il primo afro-americano che nel 1908 si aggiudica il titolo mondiale dei pesi massimi, Jack Johnson (1878-1946), non avrebbe mai immaginato che negli anni 60-70 sarebbe diventato un eroe del riscatto dei neri americani. Nell’ambito degli hard boppers i temi dell’orgoglio razziale e della reazione alle leggi contro gli americani di colore, erano molto sentiti, ed anche Miles Davis che, fra l’altro, negli anni 50 aveva frequentato il mondo della boxe, si era regolarmente allenato nel periodo in cui viveva a New York ed era amico di Sugar Ray Robinson. con quest’album dedicato al pugile volle rendere nota la sua posizione. Infatti nel 1970 per la Columbia pubblicò “A Tribute to Jack Johnson” che conteneva  la soundtrack registrata in studio come colonna sonora del documentario sulla vita del pugile. Prendere a pugni le discriminazioni razziali, in un momento in cui grandi uomini come Malcom X (nel 1965) e Martin Luther King nel (1968) venivano assassinati brutalmente. Ritornando all’album, è costituito da due brani: Right off, che prende forma a partire dalla base creata da John McLaughlin, seguita dal basso di Michael Henderson e Billy Cobham alla batteria, su  cui a turno improvvisano Miles Davis alla tromba, Steve Grossman al sax soprano e Herbie Hancock all’organo elettrico; e Yesternow, registrato in parte con la prima line up e successivamente con la sezione ritmica formata da Dave Holland al basso e Jack DeJohnette alla batteria, mentre a McLaughlin viene affiancato un altro chitarrista, Sonny Sharrock,  Chik Corea sostituisce Hancock alle tastiere ed al posto del soprano  Grosmann c’è il clarino di Bernie Maupin. Le modalità con cui si registrano i brani sono un po’ come in “Bitches Brew”, con una minore presenza di strumenti ed un ambiente sonoro meno denso, più essenziale, caratterizzato da una sezione ritmica incessante e potente. Nella fase di editing Teo Macero interviene in maniera decisiva mettendo in risalto gli strumenti nel momento dell’assolo e creando una dinamica che dà  all’ascoltatore la sensazione di muoversi dentro l’ensemble. Aggiunge tra un vuoto e l’altro dei take tratti da “In A silent way” che partono da lontano come frammenti che prendono forma per un momento e poi scompaiono. Un album pieno di forza e di intensa drammaticità, un urlo contro il razzismo – perché la musica serve anche a questo -. Ai tempi d’oggi quei criminali in giacca e cravatta” sono ancora e più di ieri “liberi di bere Martini e guardare il sole sorgere” dai loro grattacieli e niente è cambiato sul fronte dell’anti-razzismo. E’ davanti ai nostri occhi. Bruschi passi indietro per la Democrazia americanaNulla è cambiato, anzi, qualcosa è peggiorato da quel triste 22 novembre 1963, quando Jacqueline Kennedy vide volare via il cervello e le idee di “pace, libertà e democrazia” del marito John Fitzgerald, trucidato da entità invisibili la cui parola d’ordine era ed  è:  “Ogni presidente buono è quello ammazzato”.

lunedì 1 maggio 2017

IL 1° MAGGIO NEGLI ANNI '50 E '60..IMMAGINI E RICORDI.


Il primo maggio nei comuni della provincia siciliana degli anni '50 e '60: immagini dei cortei durante gli scioperi (nella provincia di Siracusa in quegli anni i braccianti agricoli conducevano cruente battaglie per migliorare il loro contratto di lavoro - Lotte sanguinose, nel dicembre del 1968 morirono due giovani braccianti durante una manifestazione ad Avola).
E poi immagini di scampagnate e gite fuori porta (di casa). Il carrettino dei dolciumi, le feste di paese con il cantante "famoso" a buon prezzo..Non si navigava nell'oro ma il mondo con i suoi drammie le sue speranze,  era più a portata di mano..











Le foto sono di Paolo Florio, contenute nel suo libro "Avola immagini di ieri" edizioni Florio Film, 2002

Soundtrack:                 MARE NOSTRUM - Galliano,Fresu, Lundgren 







martedì 25 aprile 2017

QUANTI ANNI SONO PASSATI?


Quanti anni sono passati? Troppo pochi per rendersi conto della tragicità insita nei corsi e ricorsi storici...Basta guardarsi attorno e accorgersi che è come se non fosse successo niente e si continuano a fare gli stessi errori .





























NEL FRATTEMPO ASCOLTATEVI (SE VOLETE) 






domenica 16 aprile 2017

WAITING THE WORD TO CHANGE


Quale occasione più ghiotta per lanciare da questo blog messaggi positivi e di speranza? Nelle parole della canzone che condivido di John Mayer si legge:


...noi continuamo ad aspettare


IN ATTESA CHE IL MONDO CAMBI

Noi continuamo ad aspettare (aspettare)

In attesa che il mondo cambi

È difficile battere il sistema

Quando siamo sempre ad una certa distanza
Così noi continuamo ad aspettare (aspettare)
IN ATTESA CHE IL MONDO CAMBI


Tuttavia non bisogna aspettare ma Agire, per evitare che gli individui che occupano posti di potere continuino a fare i loro comodi, o mandino a puttane l'universo, dopo averlo fatto con la nostra vita,
I coglioni esaltati  nei posti sbagliati sono capaci di combinare scempi di ogni genere.Historia Docet.
Non ci resta che muovere il culo e stare in campana...

UN AUGURIO DI PACE A TUTTI






John Mayer - Waiting On the World to Change







Io e tutti i miei amici
Siamo degli incompresi
Loro dicono che noi non crediamo in niente e
Non c’è modo per noi di riuscire
Adesso noi vediamo che tutto sta andando male
Con il mondo e coloro che lo guidano
Ci sentiamo come se non avessimo i mezzi
Per elevarci al di sopra e vincere

Così noi continuamo ad aspettare
In attesa che il mondo cambi
Noi continuamo ad aspettare (aspettare)
In attesa che il mondo cambi
È difficile battere il sistema
Quando siamo sempre ad una certa distanza
Così noi continuamo ad aspettare (aspettare)
In attesa che il mondo cambi

Adesso se avessimo il potere
Per portare i nostri vicini a casa dalla guerra
Loro non avrebbero mai perso un Natale
Non più nastri alle loro porte
Quando voi credete alle vostre televisioni
Quello che ottenete è quello che avete ottenuto
Dato che quando loro posseggono l’informazione ooohhh,
La possono storcere come vogliono

Così mentre noi continuamo ad aspettare (aspettare)
In attesa che il mondo cambi
Noi continuamo ad aspettare (aspettare)
In attesa che il mondo cambi
Non è che non ci preoccupiamo
Sappiamo solo che la quantità non è equa
Così continuamo ad aspettare (aspettare)
In attesa che il mondo cambi

(Assolo di chitarra)

Noi stiamo ancora aspettando (aspettando)
In attesa che il mondo cambi
Noi continuamo ad aspettare (aspettare)
In attesa che il mondo cambi
Un giorno la nostra generazione
Controllerà la popolazione

Così noi continuamo ad aspettare (aspettare)
In attesa che il mondo cambi
Sapendo che noi continuamo ad aspettare (aspettare)
In attesa che il mondo cambi
Noi continuamo ad aspettare
In attesa che il mondo cambi
In attesa che il mondo cambi
In attesa che il mondo cambi
In attesa che il mondo cambi

martedì 28 febbraio 2017

LA LIBERTA' NON E' UN BAVAGLIO

Piena adesione di CASSETTI CONFUSI all'iniziativa lanciata da: Web sul blog   e l'Agorà alla quale  youtubers, grafici e webmasters stanno rispondendo con entusiasmo condividendo banner, video e tutto quello che serve, per diffonderla.





Lo scopo dell'iniziativa è quello di manifestare perplessità e dissenso nei confronti  della proposta di un DDL   che con la scusa di legiferare per combattere il fenomeno delle fake news e degli insulti sul web, traccia invece regole liberticide nei confronti di siti e blog che poi non sono certo i luoghi dove questi fenomeni sono più frequenti..





In un momento in cui sta tornando di  moda la "simpatica usanza" di erigere muri e barriere, questo provvedimento, pur prendendo le mosse da una giusta causa, rischia di rappresentare un'altra barriera contro la libertà di comunicare..





.....AND "THE TORTURE NEVER STOP " come dice e suona FRANK ZAPPA


































mercoledì 1 febbraio 2017

IMPRESSIONI DI "INDIA" NELLE NOTE DI COLTRANE E NELLA LETTURA DI PASOLINI

Molte cose mi passano per la testa. Partono da profonde considerazioni esistenziali e poi trovano riscontro nella musica, nella lettura...
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate su queste considerazioni che ho scritto su MAGAZZINI INESISTENTI.

John Coltrane: “Impressions” (1963) – di Mr. Hyde





“I Suonatori erano ammassati lì sopra: suonavano una specie di pianola, un tamburo, uno strumento a fiato. Questi strumenti facevano un baccano assordante, accompagnando e sottolineando con violenza inaudita i canti strazianti e patetici degli attori.” (1)

Nel 1961 Pierpaolo Pasolini (insieme ad Alberto Moravia ed Elsa Morante) si reca in India e riporta le sue impressioni su un diario di viaggio, più tardi pubblicato con il titolo “L’Odore dell’India”. Nello stesso anno vengono eseguiti e registrati dal  vivo al Village Vanguard  i due brani di John ColtraneIndia ed Impressions. Uno strano parallelismo che ho cercato e voluto, nel tentativo di visualizzare un mondo così misterioso, così carico di spiritualità e contemporaneamente di drammatica povertà, dove la vita è così vicina alla morte quasi da poterci andare oltre.

Un poeta d’immagini e un musicista mistico: leggere l’uno ascoltando l’altro per trovare riscontri dentro uno stesso contesto storico e sociale. India è un momento importante del percorso artistico di Coltrane che coinvolge la sua musica, la ricerca di sé stesso e delle radici della sua gente, il rapporto della sua vita artistica con i profondi cambiamenti del mondo. Il sassofonista è affascinato da quella cultura e dalla musica ad essa intimamente legata: frequenta il sitarista Ravi Shankar e scopre i raga e quanto essi siano un misto di musica e filosofia nella loro complessità e nel loro essere dettati dai tempi, dalle stagioni, dagli stati d’animo. La loro struttura musicale aperta che dà un senso ciclico di infinito, così come succede ascoltando  i canti gregoriani, forme modali che non “risolvono” mai, influenza profondamente le sue idee. India nasce da suggestioni legate a quel mondo, ai raga, e ai canti devozionali. Suggestioni riapparse più potenti, distorte e amplificate dalla forte presenza di strumenti percussivi nella parte iniziale di “Om”, album registrato nel 1965 e pubblicato nel 1968 dalla Impulse!, nella drammatica parte recitativa tratta dal Bar-do Thos-grol”, (Il Libro tibetano dei morti) e nell’esplosione free mista a pulsioni psichedeliche che segue. Ma India è meno esplicito, più meditativo. Mentre ascolti ti sembra scivolare sopra le acque del Gange così calme in superficie  e così piene di un  ribollente movimento di molecole appena sotto.
“Man mano che la barca si stacca, vediamo apparire la riva in tutta la sua estensione: in alto in fondo scintillano le luci, e controluce, si eleva una specie di città di Dite, ma di proporzioni modeste, quasi rustiche. Sono le pareti dei palazzi che i maraja e i ricchi si costruiscono per venire a morire sul Gange (…)” (2).
Immagini e suoni di una terra dove antica miseria e sofferenza convivono con lo splendore del Taj Mahal, dove l’ampio tendone dell’induismo un tempo garantiva una pacifica simbiosi di religioni, dove un occidentale non avrebbe mai compreso a pieno tutto quello che succedeva davanti ai suoi occhi.
 “Nell’acqua del Gange si immergono i cadaveri prima di bruciarli, nell’acqua del Gange si buttano, non bruciati, ma sistemati tra due lastroni di pietra, i santoni, i vaiolosi e i lebbrosi, nell’acqua del Gange galleggiano tutti i rifiuti e le carogne di una città che praticamente è un lazzaretto perché la gente ci viene a morire. Ebbene, in quest’acqua si vedono centinaia di persone che si lavano accuratamente, tuffandosi beate, restandovi immerse fino alla cinta, a sciacquarsi mille volte, a lavarsi bocca e denti (…)” (3).

Purezza e sporcizia, morte e rinascita,  luce e oscurità, come il contrasto tra il suono del soprano di John Coltrane e il clarino basso di Eric Dolphy che ipnotizzano simili a incantatori di cobra. Suoni e note a volte ti cullano, altre ti aggrediscono e non conviene resistere con la ragione ma abbandonarsi lungo la corrente, cullati dal fluido background poliritmico creato da Elvin Jones con il suo lavoro su piatti e rullante ricco di accenti, e dal  piano  di McCoy Tyner,  mentre l’effetto del tamburo ad acqua creato da due bassi acustici suonati da Jimmy Garrison Reggie Workman in maniera incessante, sostiene le evoluzioni dei solisti, rendendo l’idea di un rito tribale in lontananza. ”Coltrane era molto affascinato dal tamburo ad acqua indiano, sostanzialmente uno strumento di bordone che tiene una nota fissa mentre gli altri improvvisano attorno ad essa.” (4). Lui stesso diceva: “Mi piace che la musica sia pesante nel profondo” (5). L’atmosfera mistica di India anticipa quella di “A Love Supreme” (1965, Impulse!) altro capolavoro entrato a far parte della storia del jazz. L’album “Impressions” originariamente pubblicato nel 1963 dalla Impulse!, contiene i due brani live al Village Vanguard insieme a Up ‘Gainst The Wall After the rain, registrati rispettivamente nel 1962 e nel 1963 al Van Gelder Studio. Qui John Coltrane guida il suo “Quartetto classico” a cui si sono uniti da Eric Dolphy e Reggie Workman sulle tracce dal vivo. Questa  line up gli consente di prodursi  in interminabili, intensi, potenti e drammatici  assolo. Pur essendo il risultato di brani registrati in tempi diversi, l’album contiene alcune delle molteplici componenti della personalità musicale di Coltrane: il misticismo e la spiritualità in India, il riferimento a So What del Miles Davis modale in Impressions, il blues in Up ‘Gainst The Wall  e la predilezione per le ballads  nella sognante After the rain. A tutto questo si aggiunga una costante progressiva tendenza a distaccarsi dalle consuete modalità espressive del jazz suonato dai suoi contemporanei con lo scopo di rivoluzionare le regole dell’improvvisazione, anzi, spazzarle via. Coltrane oscilla tra la rigida geometria verticale delle sheet of sound che fa pensare alla perfezione matematica di Bach, alla totale mancanza di punti fissi felicemente trovata nella New Thing del suo amico Ornette Coleman. Il senso dell’universo e il suoi misteri comandano la sua vita e la sua musica: sembra tutto indissolubilmente legato, forse per questo è affascinato dal pensiero di Albert Einstein“La cosa più bella che noi possiamo provare è il senso del mistero. Esso è la sorgente di  tutta la vera arte e di tutta la scienza. Colui che non ha mai provato questa emozione, colui che non sa più fermarsi a meditare e rimanere rapito in timorosa ammirazione, è come morto: i suoi occhi sono chiusi.” (6).
Coltrane non si è mai fermato nella ricerca di nuove forme compositive ed espressive: la sua smodata curiosità, la sua esuberanza creativa lo hanno spinto oltre le estreme possibilità dello strumento per raggiungere territori inesplorati; è stata una breve ma intensa avventura, e di tutto quello che è successo, continuiamo a goderne i frutti con gratitudine.

Si ripete così la vecchia storia: il mondo stupendo, e orrendo e io che lo contemplo, ricco, fin troppo ricco, degli strumenti necessari a registrarlo”. (7)


Tracks: 00:00 – India / 14:10 – Up ‘Gainst The Wall / 17:25 – Impressions / 32:21 – After The Rain
Personnel: John Coltrane – soprano and tenor saxophone. McCoy Tyner – piano (exc. track 2).
Jimmy Garrison – double bass. Elvin Jones – drums (exc. tracks 4). Roy Haynes – drums (tracks 4).
Eric Dolphy – bass clarinet, alto sax (tracks 1 and 3). Reggie Workman – double bass (tracks 1 and 3).
(1), (2), (3), (7): da Pier Paolo Pasolini “L’odore dell’India” con “Passeggiata ad Ajanta” e “Lettera da Benares”Milano, Garzanti Libri, 2009. (4) da: Joe Goldberg, “Jazz Masters of the Fifties” New York, MacMillan 1965. (5)citazione da un discorso di John Coltrane  tratta da: Joe Goldberg, “Jazz Masters of the Fifties” New York, MacMillan 1965. (6) da: Leopold Infield “Albert Einstein” Torino, Giulio Einaudi Editore, 1962.